Il Cardinale Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, è nato a Marktl am Inn, diocesi di Passau (Germania), il 16 aprile del 1927 (Sabato Santo), e battezzato lo stesso giorno. Il padre, Commissario di polizia, proveniva da un’antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera, di condizioni economiche piuttosto modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago Chiem, e prima di sposarsi aveva lavorato come cuoca in vari hotels. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Traunstein, piccola località vicina alla frontiera con l’Austria, a 30 km. da Salisburgo. In questo contesto, che egli stesso ha definito “mozartiano”, ricevette la sua formazione cristiana, umana e culturale. Non fu facile il periodo della sua giovinezza. La fede e l’educazione della famiglia lo prepararono ad affrontare la dura esperienza di quei tempi, in cui il regime nazista manteneva un clima di forte ostilità contro la Chiesa cattolica. Il giovane Joseph vide come i nazisti colpivano il parroco prima della celebrazione della Santa Messa. Proprio in tale complessa situazione, egli ebbe a scoprire la bellezza e la verità della fede in Cristo; un ruolo fondamentale per questo svolse l’attitudine della sua famiglia, che sempre dette chiara testimonianza di bontà e di speranza, radicata nella consapevole appartenenza alla Chiesa. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale fu arruolato nei servizi ausiliari antiaerei. Dal 1946 al 1951 studiò filosofia e teologia nella Scuola superiore di filosofia e di teologia di Frisinga e nell’università di Monaco di Baviera. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951. Un anno dopo intraprese l’insegnamento nella Scuola superiore di Frisinga. Nel 1953 divenne dottore in teologia con la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”. Quattro anni dopo, sotto la direzione del noto professore di teologia fondamentale Gottlieb Söhngen, ottenne l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione su: “La teologia della storia di San Bonaventura”. Dopo aver insegnato teologia dogmatica e fondamentale nella Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga, proseguì la sua attività di docenza a Bonn, dal 1959 al 1963; a Münster, dal 1963 al 1966; e a Tubinga, dal 1966 al 1969. In quest’ultimo anno divenne cattedratico di dogmatica e storia del dogma all’Università di Ratisbona, dove ricoprì al tempo stesso l’incarico di vicepresidente dell’Università. Dal 1962 al 1965 dette un notevole contributo al Concilio Vaticano II come “esperto”; assistette come consultore teologico del Cardinale Joseph Frings, Arcivescovo di Colonia. Un’intensa attività scientifica lo condusse a svolgere importanti incarichi al servizio della Conferenza Episcopale Tedesca e nella Commissione Teologica Internazionale. Nel 1972, insieme ad Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac ed altri grandi teologi, dette inizio alla rivista di teologia “Communio”. Il 25 marzo del 1977 il Papa Paolo VI lo nominò Arcivescovo di Monaco e Frisinga e ricevette l’Ordinazione episcopale il 28 maggio. Fu il primo sacerdote diocesano, dopo 80 anni, ad assumere il governo pastorale della grande Arcidiocesi bavarese. Come motto episcopale scelse “collaboratore della verità”, ed egli stesso ne dette la spiegazione: “per un verso, mi sembrava che era questo il rapporto esistente tra il mio precedente compito di professore e la nuova missione. Anche se in modi diversi, quel che era e continuava a restare in gioco era seguire la verità, stare al suo servizio. E, d’altra parte, ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto; appare infatti come qualcosa di troppo grande per l’uomo, nonostante che tutto si sgretoli se manca la verità”. Paolo VI lo creò Cardinale, con il titolo presbiterale di “Santa Maria Consolatrice al Tiburtino”, nel Concistoro del 27 giugno del medesimo anno. Nel 1978, il Cardinale Ratzinger prese parte al Conclave, svoltosi dal 25 al 26 agosto, che elesse Giovanni Paolo I, il quale lo nominò suo Inviato Speciale al III Congresso mariologico internazionale celebratosi a Guayaquil, in Ecuador, dal 16 al 24 settembre. Nel mese di ottobre dello stesso anno prese parte al Conclave che elesse Giovanni Paolo II. Fu relatore nella V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1980 sul tema: “Missione della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo”, e Presidente delegato della VI Assemblea Generale Ordinaria del 1983 su “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”. Giovanni Paolo II, il 25 novembre del 1981, lo nominò Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio del 1982 rinunciò al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga; il 5 aprile del 1993 venne elevato dal Pontefice all’Ordine dei Vescovi, e gli fu assegnata la sede suburbicaria di Velletri - Segni. E’ stato Presidente della Commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che, dopo sei anni di lavoro (1986–1992), ha presentato al Santo Padre il nuovo Catechismo. Giovanni Paolo II, il 6 novembre del 1998, approvò la sua elezione a Vice Decano del Collegio cardinalizio da parte dei Cardinali dell’Ordine dei Vescovi, e, il 30 novembre del 2002, quella a Decano con la contestuale assegnazione della sede suburbicaria di Ostia. Fu Inviato Speciale del Papa alle celebrazioni per il XII centenario dell’erezione della Diocesi di Paderborn, in Germania, che ebbero luogo il 3 gennaio 1999. Dal 13 novembre del 2000 era Accademico onorario della Pontificia Accademia delle Scienze. Nella Curia Romana è stato membro del Consiglio della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica, per il Clero e delle Cause dei Santi; dei Consigli Pontifici per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Cultura; del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica; e delle Commissioni Pontificie per l’America Latina, dell’“Ecclesia Dei”, per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico e per la Revisione del Codice di Diritto Canonico Orientale. Tra le sue numerose pubblicazioni, occupa un posto particolare il libro: “Introduzione al Cristianesimo”, silloge di lezioni universitarie pubblicate nel 1968 sulla professione della fede apostolica; “Dogma e predicazione” (1973), antologia di saggi, omelie e riflessioni dedicate alla pastorale. Ebbe grande eco il discorso che tenne davanti all’Accademia bavarese sul tema “Perché sono ancora nella Chiesa” nel quale, con la solita sua chiarezza, affermò: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiano e non ai margini della Chiesa”. Continuò ad essere abbondante la serie delle sue pubblicazioni nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone, specialmente per quanti volevano approfondire lo studio della teologia. Nel 1985 pubblicò il libro-intervista: “Rapporto sulla fede” e, nel 1996, “Il sale della terra”. Ugualmente, in occasione del suo 70° genetliaco, venne edito il libro: “Alla scuola della verità”, in cui vari autori illustrano diversi aspetti della sua personalità e della sua opera. Numerosi sono i dottorati “honoris causa” che egli ha ricevuto: dal College of St. Thomas in St. Paul (Minnesota, USA) nel 1984; dall’Università cattolica di Lima nel 1986; dall’Università cattolica di Eichstätt nel 1987; dall’Università cattolica di Lublino nel 1988; dall’Università di Navarra (Pamplona, Spagna) nel 1998; dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) nel 1999; dalla Facoltà di teologia dell’Università di Breslavia (Polonia) nel 2000. Il 30 novembre 2002 divenne decano del collegio cardinalizio ed ottenne la sede suburbicaria di Ostia riservata al decano, in aggiunta a quella di Velletri-Segni. Nonostante avesse avanzato più volte le richieste di congedo, mantenne il suo incarico in curia e divenne uno dei più stretti collaboratori del pontefice, soprattutto con l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Il 25 marzo 2005, Venerdì santo, guidò le meditazioni della tradizionale Via Crucis al Colosseo.


Il 1º aprile 2005 tenne a Subiaco una conferenza dal titolo «L'Europa nella crisi delle culture», nella quale tracciò uno scenario della Chiesa in Europa e criticò fortemente «la forma attuale della cultura illuminista» che costituisce «la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell'intera umanità». Come decano del Sacro Collegio, venerdì 8 aprile 2005, presiedette la cerimonia funebre per Giovanni Paolo II (Messa esequiale del Romano Pontefice); durante la Messa, pronunciò un'omelia che sarebbe divenuta celebre come il suo "programma di pontificato". In essa denunciò il pericolo di una «dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie», opponendo ad essa «un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo», «misura del vero umanesimo», ««criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità»; disse quindi che: «questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo» anche se «avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo». Ratzinger fu eletto papa durante il secondo giorno del conclave del 2005, al quarto scrutinio, nel pomeriggio del 19 aprile 2005. Scelse il nome di papa "Benedetto XVI". Alle 17:56 fu dato l'annuncio dell'elezione con la tradizionale fumata bianca del comignolo della Cappella Sistina (ci fu in effetti un'iniziale incertezza sul colore del fumo, ma i dubbi furono sciolti alle 18:07, dal suono delle campane della basilica di San Pietro in Vaticano). Dopo circa mezz'ora, il cardinale protodiacono Jorge Arturo Medina Estévez si affacciò dal balcone della loggia centrale della basilica per annunciare l'habemus Papam. Nel suo primo discorso da papa, seguito dalla benedizione Urbi et Orbi, riservò un ricordo al suo amico e predecessore Giovanni Paolo II: « Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre, starà dalla nostra parte. Grazie. » (Il primo messaggio pubblico di papa Benedetto XVI). Domenica 24 aprile 2005 si tenne in piazza San Pietro la messa ("Santa Messa di imposizione del pallio e consegna dell'anello del pescatore per l'inizio del Ministero petrino del Vescovo di Roma", tradizionalmente detta "Messa di incoronazione" fino a papa Paolo VI) per l'inizio del ministero petrino di Benedetto XVI, il quale pronunciò un'omelia all'insegna dell'ecumenismo, della continuità nei confronti del suo predecessore e dell'apertura verso i fedeli. « Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano » Al termine della cerimonia il Papa attraversò con la jeep piazza San Pietro, gremita di 500.000 persone, e ricevette le delegazioni internazionali nella basilica. Sua Santità, seguendo le orme del suo predecessore, scelse di trascorrere dei periodi di riposo al di fuori da Castel Gandolfo e prima fu a Les Combes in Valle d’Aosta, poi a Lorenzago di Cadore, in Veneto ed infine a Bressanone in Trentino Alto Adige.

STEMMA DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI

STEMMA DI SUA SANTITA’ BENEDETTO XVI Fin dai tempi medioevali, gli stemmi sono diventati di uso comune per i guerrieri e per la nobiltà, e si è quindi venuto sviluppando un ben articolato linguaggio che regola e descrive l'araldica civile. Parallelamente, anche per il clero si è formata un'araldica ecclesiastica. Essa segue le regole di quella civile per la composizione e la definizione dello scudo, ma vi pone intorno simboli ed insegne di carattere ecclesiastico e religioso, secondo i gradi dell'Ordine sacro, della giurisdizione e della dignità. È tradizione, da almeno otto secoli, che anche i Papi abbiano un proprio stemma personale, oltre a simbolismi propri della Sede Apostolica. Particolarmente nel Rinascimento e nei secoli successivi, era uso decorare con lo stemma del Sommo Pontefice felicemente regnante tutte le principali opere da lui eseguite. Stemmi papali appaiono infatti in opere di architettura, in pubblicazioni, in decreti e documenti di carattere vario. Spesso i Papi adottavano lo scudo della propria famiglia, se esso esisteva, oppure componevano uno scudo con simbolismi che indicavano una propria idealità di vita, o un riferimento a fatti o esperienze passate, oppure ad elementi connessi con un proprio programma di pontificato. Talvolta apportavano qualche variante allo scudo che avevano adottato da Vescovi. Anche il Cardinale Giuseppe Ratzinger, eletto Papa ed assumendo il nome di Benedetto XVI, ha scelto uno stemma ricco di simbolismi e di significati, per affidare alla storia la sua personalità ed il suo Pontificato. Uno stemma, come si sa, si compone di uno scudo, che porta alcuni simboli significativi, ed è circondato da elementi, che indicano la dignità, il grado, il titolo, la giurisdizione, ecc. Lo scudo adottato dal Papa Benedetto XVI ha una composizione molto semplice: esso è del tipo a calice, che è la forma maggiormente usata nell'araldica ecclesiastica (un'altra forma è quella a testa di cavallo, come adottò Paolo VI). All'interno, variando la composizione nei rispetti del suo scudo cardinalizio, lo scudo di Papa Benedetto XVI è diventato: di rosso, cappato di oro. Il campo principale, infatti, che è di rosso, porta due campiture laterali negli angoli superiori a modo di "cappa", che sono di oro. La "cappa" è un simbolo di religione. Essa indica una idealità ispirata alla spiritualità monastica, e più tipicamente a quella benedettina. Vari Ordini o Congregazioni religiose hanno adottato la forma "cappata" nel loro stemma, come ad esempio i Carmelitani, ed i Domenicani, anche se questi ultimi lo portavano solo in una simbologia più primitiva della loro attuale. Benedetto XIII, Pietro Francesco Orsini (1724-1730), dell'Ordine dei Predicatori, adottò il "capo domenicano", che è di bianco cappato di nero. Lo scudo di Papa Benedetto XVI contiene dei simbolismi che egli già aveva introdotto nel suo stemma come Arcivescovo di München und Freising (Monaco e Frisinga), e poi come Cardinale. Essi però nella nuova composizione sono ora ordinati in un modo diverso. Il campo principale dello stemma è quello centrale, che è di rosso. Nel punto più nobile dello scudo, vi è una grande conchiglia di oro, la quale ha una triplice simbologia. Essa dapprima ha un significato teologico: vuole ricordare la leggenda attribuita a sant'Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana. La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell'umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo alla inesauribilità dell'insegnamento teologico. La conchiglia, inoltre è da secoli usata per rappresentare il pellegrino: simbolismo che Benedetto XVI vuole mantenere vivo, calcando le orme di Giovanni Paolo II, grande pellegrino in ogni parte del mondo. La casula da Lui usata nella solenne liturgia dell'inizio del suo Pontificato, domenica 24 aprile, portava con evidenza il disegno di una grande conchiglia. Essa è anche il simbolo presente nello stemma dell'antico Monastero di Schotten, presso Regensburg (Ratisbona) in Baviera, cui Joseph Ratzinger si sente spiritualmente molto legato. Nella parte dello scudo denominata "cappa", vi sono anche due simboli venuti dalla tradizione della Baviera, che Joseph Ratzinger divenuto nel 1977 Arcivescovo di Monaco e Frisinga aveva introdotto nel suo stemma arcivescovile. Nel cantone destro dello scudo (a sinistra di chi guarda) vi è una testa di moro al naturale (ovvero di colore bruno), con labbra, corona e collare di rosso. È l'antico simbolo della Diocesi di Frisinga, nata nell'VIII secolo, diventata Arcidiocesi Metropolitana col nome di Monaco e Frisinga nel 1818, dopo il Concordato tra Pio VII ed il Re Massimiliano Giuseppe di Baviera (5 giugno 1817). La testa di Moro non è rara nell'araldica europea. Essa appare tutt'oggi in molti stemmi della Sardegna e della Corsica, oltre a vari blasoni di famiglie nobili. Anche nello stemma del Papa Pio VII, Barnaba Gregorio Chiaramonti (1800- 1823), apparivano tre teste di Moro. Ma il Moro nell'araldica italica in generale porta intorno alla testa una banda bianca, che indica lo schiavo reso libero, e non è coronato, mentre lo è nell'araldica germanica. Nella tradizione bavarese la testa di moro appare infatti molto spesso, ed è denominata caput ethiopicum, o moro di Frisinga. Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso, di colore bruno (al naturale), che porta un fardello sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il 680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730), messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso, che gli sbranò il cavallo. Egli però riuscì non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma. Per cui l'orso è rappresentato con un fardello sul dorso. La facile interpretazione della simbologia vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato. Lo scudo dello stemma papale può quindi essere descritto ("blasonato") secondo il linguaggio araldico nel seguente modo: "Di rosso, cappato di oro, alla conchiglia dello stesso; la cappa destra, alla testa di moro al naturale, coronata e collarinata di rosso; la cappa sinistra, all'orso al naturale, lampassato e caricato di un fardello di rosso, cinghiato di nero". Lo scudo reca al suo interno - come abbiamo descritto - le simbologie legate alla persona che se ne fregia, alle sue idealità, alle sue tradizioni, ai suoi programmi di vita ed ai principi che lo ispirano e lo guidano. I vari simboli del grado, della dignità e della giurisdizione dell'individuo appaiono invece all'intorno dello scudo. È tradizione, da tempo immemorabile, che il Sommo Pontefice porti nel suo stemma, intorno allo scudo, le due chiavi "decussate" (ovvero incrociate in croce di s. Andrea), una d'oro e una d'argento: da vari autori interpretate come i simboli del potere spirituale e del potere temporale. Esse appaiono dietro allo scudo, o al di sopra di esso, affermandosi con una certa evidenza. Il Vangelo di Matteo narra che Cristo ha detto a Pietro "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (cap. 16, v.19). Le chiavi sono quindi il tipico simbolo del potere dato da Cristo a San Pietro ed ai suoi successori. Pertanto, esse giustamente appaiono in ogni stemma papale. Nell'araldica civile vi è sempre al di sopra dello scudo un copricapo, in generale una corona. Anche nell'araldica ecclesiastica appare normalmente un copricapo, evidentemente di tipo ecclesiastico. Nel caso del Sommo Pontefice fin dai tempi antichi appare una "tiara". Essa era all'inizio un tipo di "tocco" chiuso. Nel 1130 fu accompagnato da una corona, simbolo di sovranità sugli Stati della Chiesa. Bonifacio VIII, nel 1301, aggiunse una seconda corona, al tempo del confronto col Re di Francia, Filippo il Bello, per significare la sua autorità spirituale al di sopra di quella civile. Fu Benedetto XII, nel 1342 ad aggiungere una terza corona per simbolizzare l'autorità morale del Papa su tutti i monarchi civili, e riaffermare il possesso di Avignone. Col tempo, perdendo i suoi significati di carattere temporale, la tiara d'argento con le tre corone d'oro è rimasta a rappresentare i tre poteri del Sommo Pontefice: di Ordine sacro, di Giurisdizione e di Magistero. Negli ultimi secoli, i Papi usarono la tiara nei pontificali solenni, ed in particolare nel giorno della "incoronazione", all'inizio del loro pontificato. Paolo VI usò per tale funzione una preziosa tiara regalatagli dalla diocesi di Milano, come già questa aveva fatto per Pio XI, ma poi la destinò ad opere di beneficenza ed iniziò l'uso corrente di una semplice "mitra" (o "mitria"), pur talvolta impreziosita da decorazioni o gemme. Egli però lasciò la "tiara" insieme con le chiavi decussate come simbolo della Sede Apostolica. Oggi, giustamente, la cerimonia con cui il Sommo Pontefice inaugura solennemente il suo Pontificato non si chiama più "incoronazione", come si diceva in passato. La piena giurisdizione del Papa, infatti, inizia dal momento della sua accettazione dell'elezione fatta dai Cardinali in Conclave e non da una incoronazione, come per monarchi civili. Per cui tale cerimonia si denomina semplicemente come solenne inizio del suo Ministero Petrino, come è avvenuto per Benedetto XVI, il 24 aprile corrente. Il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso di non mettere più la tiara nel suo stemma ufficiale personale, ma di porre solo una semplice mitra, che non è quindi sormontata da una piccola sfera e da una croce come lo era la tiara. La mitra pontificia raffigurata nel suo stemma, a ricordo delle simbologie della tiara, è di argento e porta tre fasce d'oro (i tre suddetti poteri di Ordine, Giurisdizione e Magistero), collegati verticalmente fra di loro al centro per indicare la loro unità nella stessa persona. Un simbolo del tutto nuovo nello stemma del Papa Benedetto XVI è invece la presenza del "pallio". Non è tradizione, almeno recente, che i Sommi Pontefici lo rappresentino nel loro stemma. Tuttavia, il pallio è la tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice, e compare molto spesso in antiche raffigurazioni papali. Indica l'incarico di essere il pastore del gregge a Lui affidato da Cristo. Nei primi secoli i Papi usavano una vera pelle di agnello poggiata sulla spalla. Poi entrò nell'uso un nastro di lana bianca, intessuto con pura lana di agnelli allevati per tale scopo. Il nastro portava alcune croci, che nei primi secoli erano in nero, oppure talvolta in rosso. Già nel IV secolo il pallio era una insegna liturgica propria e tipica del Papa. Il conferimento del pallio da parte del Papa agli arcivescovi metropoliti iniziò nel VI secolo. L'obbligo da parte di questi di postulare il pallio dopo la loro nomina è attestato fin dal IX secolo. Nella famosa lunga serie iconografica dei medaglioni che nella Basilica di San Paolo riportano l'effigie di tutti i Papi della storia (benché particolarmente i più antichi siano di fattezze idealizzate) moltissimi Sommi Pontefici sono raffigurati con il pallio, particolarmente tutti quelli fra il V ed il XIV secolo. Il pallio è quindi il simbolo non solo della giurisdizione papale, ma anche il segno esplicito e fraterno del compartire questa giurisdizione con gli Arcivescovi metropoliti, e mediante questi con i Vescovi loro suffraganei. Esso quindi è segno visibile della collegialità e della sussidiarietà. Anche vari Patriarchi Orientali usano una forma antichissima, molto simile al pallio, detta omophorion. Nell'araldica in generale, sia civile, sia ecclesiastica (particolarmente nei gradi inferiori) è uso mettere al di sotto dello scudo un nastro, o cartiglio, che reca un motto, o divisa. Esso riporta in una sola o in poche parole una idealità, o un programma di vita. Il Cardinale Giuseppe Ratzinger aveva nel suo stemma arcivescovile e cardinalizio il motto: "Cooperatores Veritatis". Esso rimane come sua aspirazione e programma personale, ma non compare nello stemma papale, secondo la comune tradizione degli stemmi dei Sommi Pontefici negli ultimi secoli. Tutti ricordiamo come Giovanni Paolo II citasse spesso il motto "Totus Tuus", sebbene non figurasse nel suo stemma papale. La mancanza di un motto nello stemma del Papa non vuol dire mancanza di programma, ma significa invece apertura senza esclusione a tutte le idealità che derivino dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo Nunzio apostolico Copyright © L'Osservatore Romano